«Siamo in un deserto, e volete lettere da noi»
(Annibal Caro)
In ogni città, così come in quella della scrittura, c’è un confine. Lì abitano coloro che hanno la voce silenziosa ma allo stesso tempo non sanno tacere. Di questi il nome è una memoria fragile o incompleta. Sono legati ad un tempo, ad un luogo, eppure non hanno saputo abitarvi se non come ombre o lampi di luce.
Di queste tracce di voci lasciate seguiremo il sentiero, tentando un ritorno, cercando una casa, una protezione, per chi ha scritto e scrive e per chi legge al di là dell’età e del presente.
L’inattuale a bussola, l’arciere di Lucrezio a misura.
Non perché riteniamo sia necessario, non perché riteniamo sia utile: alcune cose nascono per il silenzio e nel silenzio potrebbero restare, indisturbate, indifferenti. Un guscio di noce nasce non per svelare, ma per tenere dentro, al buio – il profumo, il sapore, la simmetria perfetta del gheriglio, gli olii preziosi. Così quelle voci, così quella scrittura. Cercarle, leggerle, è come aprire una noce con quel suono ch’è quasi un morso e che segna un gesto irreversibile di troppa curiosità. Ma in alcune noci ci son le cose dorate, dice la fiaba, le cose insieme inscalfibili ed evanescenti. Come resistere a tanto nutrimento?
Che il viola complementare all’oro e come l’oro sfacciato e nascosto nel suo mistero, sia custode di pochi testi, di un atteggiamento, di uno stile. Che sia viatico «da schiacciare tra i denti nell’istante del supremo pericolo» come annotò colei i cui scritti saranno come la costellazione a cui tornare, chiuso il giorno, quando avremo timore di aver perso la fiamma e la strada.
«Aurum nostrum non est»
(Paracelso)
Eppure non è nostro l’oro, non nostra la perfezione, non è una cosa umana, non possiamo davvero avvicinarci o toccarla. Ma ben sapendo il breve raggio della nostra mano, non per questo desistiamo dal tendere e dall’accogliere, dal deludere e dal cercare. Metteremo luce lì dove era richiesto l’interramento, la maturazione. Alcuni frutti cadranno fuori tempo, ma varrà la pena aver atteso. Perché non cadano intrappolati al peso e rassegnati al suolo, ma una mano li raccolga, in aria, custodendone la parola, come se solo ad essa destinata. Parola che non si dice – parola che se detta riprenderà corpo e perderà tutto il suo integro stupore.
Così sono le cose del mondo.
Abbiamo bisogno di incertezza e desiderio, di indeterminazione e fiducia. Qualcosa di impreciso ma non per questo di sbagliato, che possa rievocare la poesia del forse, del quasi.
«Gli uomini avevano teso delle reti. Alcuni bufali vi caddero dentro e, a sua volta, vi cadde dentro l’anziano. Gli venne il pensiero: “Tu hai le mani, sciogliti dalle reti”. Ma poi rispose a quel pensiero: “Se sei un uomo, ti sciogli e vai a vivere con gli uomini. Ma se sei un bufalo, allora non hai mani”»
(Padri del deserto)
Si è sempre ad un passo.
La Noce d’Oro nasce nel 2019 o nel 2021 – dapprima da un’esperienza di traduzione condivisa e da una preziosa corrispondenza senza luogo, poi da un fiammifero lanciato, che qualcuno ha raccolto, prima che si estinguesse.
Ora esiste, imperfetta, tenue, ma guarda con occhi sempre vivi e attenti.